A Cortale, in una contrada baciata dagli ulivi, con enormi pale eoliche che ti scrutano come totem, abita l’artista Amedeo de Benedictis, che mi accoglie in una cascina che è il suo rifugio da qualche mese. Amedeo è come le sue opere: un’esplosione di vitalità contagiosa ma mai invadente, a tratti silente. Di origine napoletana, gitano per natura, ha girato il mondo con sguardo curioso ed attento e ne ha impresso i colori e le emozioni sulla tela sin da giovanissimo; vanta infatti un vasto repertorio, ma la sua attenzione ed entusiasmo si concentrano soprattutto sugli ultimi lavori. Infatti negli ultimi anni la sua ricerca pittorica (già post-impressionista) sulla resa degli effetti luminosi, è condotta a conseguenze più estreme, fino alla dissoluzione formale: la figura, il soggetto, è ridotto a scale cromatiche, macchie di colori, forme prive di contorni definiti, quasi abbozzi evanescenti.
Dei pittori impressionisti condivide la poesia di un attimo fuggevole, l’emozione irripetibile di un’impressione, l’evocazione sottile di sentimenti interiori, la scelta di dipingere en plein air.
“Noi siamo luce e colore – mi racconta – di te per esempio, non vedo una sagoma con contorni, ma colori fluidi che vagheggiano nell’aria”. Quindi le opere di de Benedictis vivono questa precarietà dell’esistenza, di un mondo concepito come una continua apparizione. Evocatore di sensazioni quasi musicali, evidenti anche nel modo di parlare, gesticolare, Amedeo mi mostra i suoi acquerelli eleganti , “un riposo dell’anima” un mulino a vento, un faro che si pone come baluardo di un sogno infranto. Ma l’effetto vago ed indeterminato permane, quasi come una visione, un sogno cercato dall’artista, come un’idea indefinita alla stregua della musica. Questo sconfinamento oltre l’oggettività, di aspetto antireale è evidente in “Il Cammino del Cavallo” dove in un anelito tra il mistico e il fantastico, un cavallo si stacca dai toni policromatici di rosso, blu, dopo aver depositato una maschera, metafora dell’artista, nudo di fronte alla realtà, a volte scomoda e crudele .”Eletto e solo procede ignaro di essere esso stesso il destino”.
“Noi tutti siamo spettatori di fronte alla realtà – si racconta Amedeo – come in questa opera, “L’equilibrio ”, ma se fai lo slalom tra le convenzioni e te stesso, di te non rimane nulla, se non una struttura di base, una testa–teschio, un corpo filiforme, estenuato dalla prova e comunque non raggiungi l’equilibrio”.
Un personaggio complesso, denso, a tratti criptico, de Benedictis, ma affascinante anche per la dimensione utopistica e visionaria. Forse è anche per questo che la sua “Lo Specchio”, una delle sue ultime sperimentazioni di fusione di metallo su legno, è sulla parete della mia stanza a ricordarmi che nulla è stabile, ma tutto evanescente. Guardare per credere. Grazie, Amedeo.
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